

Cinque importanti insegnamenti sull’azionario dei mercati emergenti
I mercati emergenti sono sempre stati considerati il Far West (o est, in questo caso) degli investimenti azionari. In questo articolo due portfolio manager veterani di Robeco condividono cinque insegnamenti che hanno appreso dall’investire nei mercati emergenti negli ultimi 30 anni.
Sommario
- Prestare attenzione all’esposizione valutaria e ricorrere alla gestione attiva
- Il livello di volatilità è simile a quello dei mercati sviluppati
- Le riforme della governance rafforzano la fiducia degli investitori nei mercati emergenti
Nel 1994 Robeco ha lanciato la sua strategia Emerging Markets Equities per applicare le proprie competenze nell’era della globalizzazione. Crediamo che il successo dipenda da uno stile regolare e da un team stabile: non a caso il portfolio manager Wim-Hein Pals gestisce la strategia fin dal suo lancio. Insieme a un altro veterano di Robeco, il gestore di portafogli multi-asset Arnout van Rijn, Wim-Hein condivide cinque insegnamenti appresi negli ultimi tumultuosi 30 anni.
Robeco ha fatto il suo ingresso nei mercati emergenti per investire in economie globali in rapida crescita, ma presto abbiamo dovuto imparare a nostre spese come battere potenzialmente un approccio passivo con scelte tattiche e lungimiranti. Nel 1994, anno del lancio della strategia, abbiamo affrontato la cosiddetta “crisi della tequila”: il Messico aveva ancora un peso considerevole nell’indice dei mercati emergenti e la sua valuta è crollata, ma il peggio sarebbe arrivato verso la fine degli anni ’90.
Prima di investire in un mercato emergente bisogna avere dimestichezza con il rischio valutario, di cui la Thailandia nel 1997 è stata un ottimo esempio. Quando la valuta del paese è scesa da 25 a 29 rispetto al dollaro USA, abbiamo deciso di chiudere la copertura, ma il THB ha continuato a deprezzarsi fino a toccare un minimo intorno ai 50 dollari nel 1998.
Essere consapevoli del rischio di un crollo di tale entità è importante ai fini del posizionamento. La crisi thailandese ci ha insegnato a evitare un errore comune negli investimenti nei mercati emergenti: quello di entrare o rientrare prematuramente in un mercato dopo una crisi per cercare di anticipare la ripresa. Forse è meglio attendere più del necessario e perdere la possibilità di partecipare a una parte dei rialzi, anziché entrare troppo presto e cedere un ulteriore 20%. Questo è un insegnamento di cui abbiamo certamente fatto tesoro. Oggi questa considerazione sta alla base del nostro approccio in paesi come la Turchia e l’Argentina. È importante essere pazienti e attendere un periodo di stabilità per assumere un assetto neutrale prima di passare a un sovrappeso, poiché queste crisi tendono a gravare sui prezzi degli asset più a lungo di quanto si possa pensare.
La gestione attiva è essenziale
Per battere regolarmente il benchmark era (ed è) necessario un approccio improntato alla gestione attiva con un processo d’investimento disciplinato. L’ottimo track record trentennale della strategia Robeco Emerging Markets Equities rispetto al suo benchmark si deve in gran parte alle società che abbiamo detenuto nel corso di questo periodo. Samsung Electronics e TSMC sono due imprese che hanno subito una completa trasformazione in questo periodo di tempo. Abbiamo visitato Samsung negli anni ’90 e all’epoca abbiamo trovato un’impresa del tutto diversa rispetto a oggi, ma già allora ci aveva colpito per il suo focus sulla tecnologia. TSMC aveva una leadership visionaria e quella capacità di esecuzione regolare che infonde fiducia, anche nei periodi di debolezza ciclica o di fronte all’emergere di nuovi concorrenti.
Abbiamo anche perseguito alcuni temi strutturali, come un sovrappeso sui beni voluttuari abbinato a un sottopeso sui beni di prima necessità; questo è un assetto che caratterizza regolarmente la nostra strategia, ma le aziende eccezionali continuano a distinguersi dalle altre. TSMC e Samsung sono altresì emblematiche di uno sviluppo fondamentale: il settore tecnologico era praticamente inesistente nei mercati emergenti quando abbiamo iniziato. In passato dominavano i materiali, le utility e le banche, ma adesso il settore tecnologico rappresenta il 25% circa dell’MSCI EM Index.
Per i gestori attivi nei mercati emergenti, inoltre, la crisi finanziaria globale ha rappresentato un punto di svolta chiave per l’allocazione geografica nonché un invito a tenere i nervi saldi. Proprio come i mercati sviluppati, anche i mercati emergenti hanno perso bruscamente terreno alla fine del 2008, con crolli senza precedenti di alcune delle società più cicliche. In questa circostanza è stato fondamentale attenerci al nostro processo e alla nostra strategia d’investimento. La situazione è cambiata solo nel marzo 2009, quando i mercati emergenti in generale hanno archiviato uno degli anni migliori di sempre.

La seconda ondata di crescita dei mercati emergenti è alle porte
Il momento migliore per investire nei mercati emergenti era 30 anni fa. Il secondo momento migliore è adesso
La volatilità si è trasformata in (relativa) stabilità
I mercati emergenti sono sempre stati caratterizzati da maggiore volatilità rispetto agli omologhi sviluppati, ma di recente la situazione ha cominciato a cambiare. Non ci stupirebbe se nel lungo periodo la volatilità dei mercati emergenti scendesse al di sotto di quella dei mercati sviluppati, sia perché i fondamentali economici dei paesi emergenti sono migliorati, sia perché le recenti crisi finanziarie hanno avuto origine nei mercati sviluppati e non in quelli emergenti. Le crisi ricorrenti in America Latina negli anni ’70 e ’80 e la crisi del 1997 in Thailandia e nel Sud-Est asiatico hanno indotto le banche dei mercati emergenti ad adottare un atteggiamento molto più prudente. Questo talvolta ha penalizzato gli azionisti di minoranza, ma ha migliorato notevolmente la capitalizzazione di molte istituzioni finanziare dei paesi emergenti rispetto alle omologhe dei mercati sviluppati. Tale cautela si è propagata anche alle politiche macroeconomiche, che hanno assicurato alle economie emergenti fondamentali solidi e una maggiore flessibilità delle politiche stesse.
Anche gli interessi locali hanno avuto un’influenza molto importante sia sulla volatilità che sui rendimenti. India, Thailandia e Taiwan sono ottimi esempi di paesi in cui gli investitori nazionali sono fondamentali per le dinamiche di mercato. Questo effetto viene oggi intensificato dalla crescita della ricchezza di tutte le fasce di reddito e dall’aumento dell’inclusione finanziaria nelle economie emergenti. Il fatto che gli investitori e le istituzioni nazionali dei mercati emergenti giochino un ruolo di traino nel lungo periodo è un buon segno, perché dimostra che esiste un collegamento tra la crescita economica e la performance del mercato azionario. L’istituzionalizzazione dei mercati azionari emergenti è stata un importante fattore d’impulso in India negli ultimi anni, provocando un cambiamento strutturale in cui una popolazione sempre più ricca investe nel mercato azionario nazionale un mese dopo l’altro. In Cina, tuttavia, si osserva la dinamica opposta. La scarsa fiducia degli investitori nazionali ha pesato sui mercati azionari nel corso dell’ultimo anno, per cui è necessario che questa venga ripristinata prima che si possa assistere a una ripresa sostenuta.
Le riforme della governance favoriscono un miglioramento graduale dei rendimenti
Di recente abbiamo analizzato lo sconto valutativo delle azioni coreane, che sono scambiate a valutazioni regolarmente più basse rispetto a società comparabili in mercati simili. Abbiamo capito che questo sconto è riconducibile a questioni di governance e di strategia aziendale, e che si tratta di un problema di lungo termine. Per tornare al caso di Samsung nei primi anni ’90, vedevamo buoni motivi per aumentare la nostra ponderazione, ma al contempo sapevamo che l’azienda non attribuiva particolare importanza alla redditività del capitale proprio (ROE) né agli azionisti di minoranza. A quei tempi Samsung puntava essenzialmente ad essere la numero uno in termini di quota di mercato, non a ottenere un rendimento soddisfacente rispetto al costo del capitale. Questo è diventato un tema a lungo termine e, con la maturazione dell’azienda, abbiamo gradualmente iniziato a godere dei frutti di una maggiore attenzione al ROE.
Capire l’orientamento dei dirigenti di un’impresa nei mercati emergenti e quanto valore si può ancora generare è un aspetto molto importante, che ci torna molto utile in tutti i paesi emergenti in cui investiamo. La ricerca del team Sustainable Investing di Robeco ha avuto un ruolo di primaria importanza su questo fronte, permettendoci di identificare i rischi di governance nelle fasi iniziali del processo d’investimento. È in quest’ambito che l’Asia si sta portando alla pari. Negli ultimi 20 anni il numero di IPO provenienti dalla regione è stato fenomenale. In America Latina la cultura aziendale era già sostanzialmente improntata ai valori statunitensi e il comportamento delle imprese era più simile a quello delle società USA, forse perché molte aziende si erano già quotate tramite ADR.
Attenersi allo stile value e sfruttare gli strumenti quantitativi per migliorare i rendimenti
Nel 1994, quando abbiamo cominciato a investire nei mercati emergenti, seguivamo un approccio basato sull’analisi fondamentale condotta alla maniera di Robeco. All’inizio degli anni ’90 abbiamo effettuato un’ampia ricerca sui principali fattori e abbiamo scoperto che nei mercati emergenti lo stile value offriva performance di gran lunga migliori rispetto allo stile growth. Nei 30 anni trascorsi da allora questo ci ha senz’altro aiutato a sovraperformare il benchmark. Nei mercati è spesso presente anche una mentalità gregaria, il che si lega a quanto dicevamo sopra a proposito dell’inclusione finanziaria e dell’istituzionalizzazione. In alcuni mercati gli investitori retail tendono a spingere i titoli su livelli esagerati, e di solito noi vediamo in questo un segnale per ridurre l’esposizione. Inoltre, fin dall’inizio del nostro percorso nei mercati emergenti, abbiamo fatto leva sui modelli quantitativi di Robeco, anche questi incentrati sul fattore value, e queste competenze quantitative ci hanno sempre permesso di mantenere una certa disciplina.
Nel dibattito filosofico che vede contrapposti gli investitori growth e value, noi ci collochiamo chiaramente sul versante value. Detto questo, il dibattito è sorto solo negli anni 2000, per cui possiamo dire semplicemente che non eravamo disposti a pagare un prezzo eccessivo e che cercavamo sempre di andare oltre le mode a breve termine, restando focalizzati sul lungo periodo. Il momentum gioca comunque un ruolo nel nostro processo d’investimento nei mercati emergenti; sappiamo che le quotazioni possono discostarsi notevolmente dai fondamentali, e questa dinamica va rispettata. Tornando all’esperienza della Thailandia nel 1997 e 1998, abbiamo anche fatto ricorso ai grafici per valutare il momentum. Crediamo che quanto più forte è la presenza degli investitori retail nel mercato, tanto più il momentum funziona. Questo ci colloca nella categoria “value con momentum”. Di sicuro non siamo gestori deep value. In futuro, con la crescente istituzionalizzazione dei mercati emergenti, crediamo che gli investitori retail avranno meno opportunità di fare cose irrazionali, sia al rialzo che al ribasso. Che questo si verifichi o meno, guardiamo con fiducia ai prossimi 30 anni nei mercati emergenti.
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